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Ciò che appare vero alla luce della lampada non sempre lo è alla luce del sole
Joubert, Pensées

Grand tour

Penso che sia un errore il supporre che, prima di Galileo, non ci sia mai stato alcun popolo in alcun luogo che abbia perseguito con determinazione concetti basilari verificati empiricamente e, perciò, scientificamente».

 F.S.C. Northrop

Il viaggio in Italia come tradizione ha radici lontanissime. Dal Medioevo, epoca cui l’itinerare fu estremamente congeniale, le strade d’Italia sono state battute da tanti pellegrini, poi da mercanti, da artisti, predicatori, studiosi, in “cerca”. Il viaggio nella città eterna, Roma, in particolare, anche quando vennero meno i dominanti caratteri penitenziali, restò una tappa fondamentale nella vita di molti, nuovi viaggiatori, divenendo occasione mondana e, nel corso del XV secolo, viaggio laico ed erudito.
A Roma si affiancarono presto città nuove: Milano, Venezia, Firenze, Bologna. Altre componenti vennero messe in evidenza sul versante culturale, della curiosità intellettuale e su quello psicologico.
Nella storia della mentalità collettiva, il viaggio acquistò valore per le sue intrinseche proprietà. Indipendente dalla soddisfazione di questo o quel bisogno, si propose esso stesso come unico e solo fine, in nome di una curiosità fattasi più audace, in nome del sapere e della conoscenza da un lato e del piacere dell’evasione, del puro divertimento dall’altro.
Questa idea innovativa cominciò a diffondersi in Europa sul finire del XVI secolo e si incarnò nella voga del ‘viaggio in Italia’. Il quale dunque, pur praticato da tempo, si configura come istituzione solo alla fine del secolo successivo, quando diventa la tappa privilegiata di un ‘giro’ che i giovani rampolli dell’aristocrazia europea, gli artisti, gli uomini di cultura, cominciano a intraprendere con regolarità. Il ‘giro’ presto diventa una moda e ad esso è assegnata anche una dicitura internazionale: il Grand Tour.
Coniato da Richard Lassels nel suo viaggio del 1670 in Italia, il termine Grand Tour è riferito ai viaggi di un élite nord europea, giovani artisti, aristocratici e uomini di stato, che venne a toccare con mano i resti della cultura classica.
Con questo nome si indicò il viaggio di istruzione, intrapreso dai rampolli delle case aristocratiche di tutta Europa, che aveva come fine la formazione del giovane gentiluomo attraverso il salutare esercizio del confronto.

Medico della Salute – Grand Tour Medicine
V Convegno nazionale: Aqua Essentia Vitae – 1/2 Settembre 2018 Paestum – Elea

Il termine tour, che soppianta quello di travel o journey o voyage, chiarisce come la moda di questo viaggio si specifichi in un ‘giro’ – particolarmente lungo e ampio e senza soluzione di continuità, con partenza e arrivo nello stesso luogo – che può attraversare anche i paesi continentali ma ha come traguardo prediletto e irrinunciabile l’Italia. Non più l’Italia degli itineraria medievali, certo, ma l’Italia delle cento città la cui fitta trama urbana diventa la meta prediletta di un nuovo pellegrinaggio.
Il Gran Tour poteva durare da pochi mesi a 8 anni, quindi solo per i più ricchi, di tempo e denaro potevano programmare. Fu il primo episodio documentato di turismo di massa, precursore, due secoli fa, delle stagionali migrazioni per sfuggire ai grigiori del Nord e cercare il sole del Sud.

Galèno (gr. Γαληνός). – Medico e filosofo (Pergamo 130 circa – ivi, probabilmente,200 circa). Avviato agli studi di medicina dal padre Nikon, architetto, G. ricevette una completa preparazione culturale, in primo luogo basata sullo studio della tradizione filosofica
Una medicina così ricostruita potrà attingere alla piena dignità epistemologica di un sapere naturalistico e, nella sua solidità razionale, potrà dimostrare scientificamente ciò che la filosofia può solo ammettere retoricamente, e cioè l’esistenza nella natura dei corpi di un ordine provvidenziale, di un finalismo rigoroso solo parzialmente enunciato nella teleologia aristotelica e stoica.
Ma la supremazia della nuova medicina sulla filosofia si estendeva al di là del campo conoscitivo a quello etico. Se in effetti, come il medico può dimostrare, le qualità morali e intellettuali dell’individuo dipendono dal buono stato dei suoi organi primari, e soprattutto dal cervello, è solo il medico che può tracciare una diagnosi morale e tentare la terapia delle deviazioni psichiche, agendo sulla dieta, il regime di vita, l’ambiente. Questo programma di ricostruzione di una medicina unificata doveva passare attraverso una confutazione implacabile della divisione del sapere medico.
Il meraviglioso ordine provvidenziale dei corpi, rivelato dall’anatomo-fisiologia, è tuttavia continuamente esposto alla malattia: quando G. scrive da medico e per i medici professionisti, egli ritorna al vecchio atteggiamento della clinica ippocratica, più attento a segnalare i continui guasti che si producono nei temperamenti umorali, gli inevitabili squilibri del rapporto corpo/ambiente esterno, più preoccupato della continua presenza della malattia e della morte, che impegnato a inneggiare alla perfezione del finalismo della natura.
Quanto alla concezione galenica dell’uomo, il ritorno alla tripartizione platonica dell’anima lo porta a vedere come l’equilibrio razionale sia continuamente minacciato da fattori endogeni, l’irrazionalità delle passioni e dei desideri che provengono dalle parti inferiori dell’apparato psichico. Queste forze oscure sono del resto incentivate da una società che, secondo il moralista G., è interamente preda dell’avidità di ricchezza, di fama e di potere, tanto da avviarsi ineluttabilmente verso il suo tracollo finale a meno che, scrive G., si produca qualche improvviso e “divino” mutamento.

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